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Il futuro dell’auto tra idrogeno e motori ibridi
6 gennaio 2018 - di IL SOLE 24ORE
Smettere di bruciare idrocarburi nei motori è un sogno, ma anche una necessità. Sì, un sogno perché allo stadio attuale della tecnologia e dell’industrializzazione le alternative, completamente carbon-free, sono ben lungi da venire, mentre la ricerca di soluzioni differenti è un’esigenza perché le riserve di petrolio non sono inesauribili e come George Olah, premio Nobel per la chimica del 1996, sostiene da anni, bruciare idrocarburi, materia prima non rinnovabile e a “rischio di estinzione” è uno spreco: non solo si danneggia l’ambiente e si riduce l’approvvigionamento di elementi di base per realizzare i materiali sintetici dai quali si dipende enormemente.
Quali sono le alternative? Una su tutte: il motore elettrico, ma qui sorge subito il problema di come alimentarlo, cioè come fare per fornire l’energia necessaria. Già perché automobili e veicoli commerciali non possono avere il trolley come i treni, i tram o il filobus: è indispensabile generare energia a bordo. Le strade sono due: le batterie chimiche e le celle a combustibile.
L'auto elettrica.
Nel primo caso, i convenzionali accumulatori con piombo e acido solforico non sono la soluzione giusta: pesano troppo e per muovere una vettura occorrono pacchi da 10 a 20 unità e fanno sorgere tre ordini di problemi: l’autonomia, la ricarica e lo smaltimento. Occorre, infatti, che siano in grado di fornire energia per lungo tempo e attualmente l’autonomia è confinata in un paio di centinaia di chilometri. Decisamente troppo poco, senza considerare anche le prestazioni scarse a causa del peso della vettura e della limitata erogazione di corrente. Le batterie vanno dunque ricaricate con frequenza e si pone il macro problema della produzione di energia necessaria: si può, da un lato, ricorrere alla rete domestica/industriale dove la corrente è prodotta da centrali a gas, a carbone, a olio combustibile, oppure nucleari (non in Italia) o idroelettriche. È possibile anche impiegare centrali non massive (eoliche e solari), magari sfruttare l’energia elettrica di origine fotovoltaica prodotta il loco grazie pannelli posti sui tetti delle abitazioni. E in questo caso la ricerca si sta concentrando sull’incremento dell’efficienza delle celle. Lo smaltimento di batterie tradizionali è poi antiecologico: la vettura, è vero, non produce emissioni durante la marcia, ma il piombo e l’acido contenuto nelle sue batterie, che vanno sostituite tutte in breve tempo (18-24 mesi al massimo) comporta fenomeno di inquinamento.
Ioni di litio.
La frontiera dell’auto elettrica passa però dalle batterie a ioni di litio. Utilizzando la tecnologia in uso per telefoni cellulari e computer portatili si ottiene elevata autonomia e peso contenuto. I primi risultati su prototipi sono incoraggianti.
Le pile a combustibile e l'idrogeno.
La ricerca scientifica si sta concentrando sull’evoluzione degli accumulatori: l’obiettivo è aumentare la capacità delle batterie utilizzando tecnologie mutuate da quelle in degli accumulatori usati nei cellulari con sistemi basati su pile agli ioni di litio. In effetti, l’autonomia dei telefonini è aumentata a dismisura e le batterie sono più piccole che in passato, ma gran parte del merito è del progresso della microelettronica che ha permesso di costruire circuiti con un limitato assorbimento elettrico, perché in realtà la capacità degli accumulatori non è migliorata di molto, tant’è che alcuni protagonisti dell’elettronica di consumo stanno studiando pile a combustibile. Già, le celle a combustibile che sono indicate come il futuro dell’auto elettrica e l’elemento cardine di quella rivoluzione dell’idrogeno ora tanto di moda, ma dalle poco solide fondamenta economiche e di fattibilità industriale.
L’idrogeno può essere utilizzato in due modi. Bruciato dentro i cilindri di comuni propulsori a combustione interna, la strada preferita da Bmw, oppure sfruttato per alimentare celle a combustibile che producono l’energia elettrica in gran quantità per alimentare motori elettrici.
Il principio di funzionamento delle celle a combustibile (o fuel cell) fu scoperto nel 1839 dal fisico inglese William Grove e le prime applicazioni concrete risalgono alle missioni spaziali. Si tratta di generatori chimici di energia elettrica che sfruttano il principio inverso a quello dell’elettrolisi, dove la corrente elettrica scinde le molecole di acqua in idrogeno e ossigeno. Al contrario, nelle fuel cell questi due gas reagiscono l’uno con l’altro producendo energia elettrica e liberando acqua. Una pila a combustibile è quindi composta da un elemento in cui idrogeno e ossigeno vengono a contatto creando una differenza di potenziali ai capi di un anodo e di un catodo separati, nei sistemi più moderni, da una sottile membrana polimerica.
La sfida delle fuel cell.
La ricerca tecnologica punta sulla riduzione degli ingombri, dei pesi e dei costi. I problemi, infatti, sono enormi e vertono principalmente sull’impiego dell’idrogeno, un gas che non esiste libero in natura ma va prodotto, scindendo molecole di acqua o ottenuto dagli idrocarburi. Per fare questo occorre spendere energia, e questo limita il rendimento complessivo, e altra energia va spesa per immagazzinarlo a pressioni elevatissime (oltre i 300 bar!) perché a pressione ambientale per conservare un chilo di idrogeno occorre un serbatotoio grande come un’intera autobotte. La ricerca scommette da tempo su serbatoi-spugna ma i costi sono esorbitanti e la strategia sembra essere quella di andare per gradi, un passo alla volta, magari utilizzando la via intermedia della conversione di idrocarburi a bordo del veicolo.
Le vetture a fuel cell presentano molti vantaggi rispetto a veicoli con motore a ciclo otto o con propulsione elettrica e accumulatori. Qualora questi generatori elettrochimici siano alimentati direttamente da idrogeno si realizza uno Zev (Zero emission vehicle) o, se si usano gli altri schemi, un veicolo a emissioni quasi nulle (Near zero-emission vehicle – Nzev).
DaimlerChrylser, il costruttore che più di tutti crede alla sfide delle fuel cell, ha prima sviluppato la serie di prototipi Necar, l’ultimo dei quali utilizzava generatori alimentati a metanolo. Un’altra strada per evitare l’uso diretto dell’idrogeno, insieme a quella di utilizzare un refomer alimentato da un comune idrocarburo, soluzione questa non troppo conveniente nel bilancio energetico complessivo. L’obiettivo di DaimlerChrysler e delle altre case automobilistiche (Fiat con la 600, Ford con Focus per esempio) è non fermarsi: continuare a progettare prototipi e arrivare vicini alla produzione di serie. Mercedes dopo le Necar adesso ha costruito la Classe A F-Cell con idrogeno contenuto in un serbatoio a 350 bar. L’auto funziona, è efficiente, costa ancora uno sproposito ma è un passo avanti verso la produzione di serie e l’avvio delle vendite.
La configurazione con idrogeno a bordo è più semplice rispetto a quella che prevede la trasformazione, tuttavia vi sono problemi di costi, di distribuzione e di sicurezza. La ricerca è orientata a comprimere fino a 2-300 bar l’idrogeno in serbatoi speciali oppure a utilizzare idrogeno liquido (sistema che è però molto costoso) o, ancora, usare “spugne” di idruri metallici.
La seconda architettura – produzione di idrogeno a bordo con conversione di idrocarburi, anche benzina – pare essere una scelta più praticabile nel breve termine poiché i derivati del petrolio continuerebbero a mantenere un ruolo importante nell’autotrazione.
La terza ipotesi, che richiede ancora affinamenti e ricerche, è l’utilizzo delle cosiddette Dmfc (celle a combustibile polimeriche a metanolo diretto) dove il combustibile non è idrogeno bensì metanolo. In questo modo si semplifica la struttura e si riducono i costi eliminando serbatoi e reformer.
Ad ogni modo le emissioni sono comunque molto più contenute rispetto ai propulsori tradizionali e i rendimenti più elevati benché i progressi sui diesel (common rail) e sull’iniezione diretta di benzina potrebbero rendere i “vecchi” motori ancora competitivi.
Il miracolo delle economie di scala.
La rivoluzione dell’auto a celle a combustibile non ne sicura ne è immediata e i costruttori sono pienamente consapevoli che non si può cambiare dall’oggi al domani un modello economico planetario bastato sull’estrazione, la vendita la trasformazione di idrocarburi e puntano a un cambiamento lento. Del resto l’ostacolo dei costi non è insormontabile quando si riesce ad abbinare la tecnologie con le economie di scala.
Alla fine degli anni Quaranta l’Ibm credeva che in futuro il mercato dei computer avrebbe potuto assorbire meno di dieci unità, poi vennero i minicomputer e poi sulla scia della rivoluzione della microelettronica i personal computer. Risultato: sulla scrivania abbiamo macchine così potenti da non essere neanche ipotizzabile a una frazione infinitesimale del costo della prima generazione. Un simile trend potrebbe avvenire anche con le celle a combustibile e le vetture potrebbero essere disponibili a costi paragonabili a quelle tradizionali attraverso una strategia di lenta, progressiva ma inesorabile diffusione. Ma anche se si riuscisse ad abbattere i costi delle celle, sulla carta rimangono tutti i problemi di distribuzione di un gas raro e costoso da produrre e da distribuire. Un idrogenodotto, anche per motivi di sicurezza, non è ipotizzabile e l’alternativa pare essere quella di produrre il gas direttamente nel distributore dalla conversione del metano in idrogeno liberando anidride carbonica. E a questo punto bisogna trovare un sistema per “confinarla” a meno che non si voglia incrementare l’effetto serra che invece l’auto pulita e carbon-free vuole ridurre. Infine tra le strade per produrre idrogeno sembra promettente l’utilizzo dell’energia solare per scindere le molecole di acqua.
Un futuro lontano.
I tempi sono molto lunghi. Per l’avvio di una commercializzazione le case stimano l’anno 2010, ma la rivoluzione di massa potrebbe avvenire nell’arco di 20 e anche 30 anni.
Le f uel cell sono una distruptive technology per l’industria dell’auto, una tecnologia capace di cambiarne completamente il business, i processi e i prodotti. Al di là dell’aspetto esterno della carrozzeria (che potrebbe non differire troppo in futuro) quello che cambierà è la struttura dell’auto: i motori elettrici non hanno bisogno di cambio e tutti i gruppi meccanici, come nel prototipo Autonomy di Gm, sono alloggiati in una piattaforma integrata, mentre i motori sono calettati direttamente sulle quattro ruote. Destinati a mutare anche i modelli di business e le competenze delle case automobilistiche che si basano in gran parte nella progettazione/produzione di motori a scoppio. Non a caso, costruttori come Bmw puntano a bruciare l’idrogeno in motori a pistoni, così da preservare l’intero know-how tecnico e commerciale.
L’auto a fuel cell potrebbe essere una trasformazione epocale, ma la sfida, anche in termini di guidabilità e prestazioni, è tutta da affrontare. Non è comunque chiaro se e quando le riserve petrolifere si esauriranno, ma un punto fermo c’è: è indispensabile ridurre i consumi, per inquinare di meno e risparmiare materie prime.
Le macchine ibride: una realtà concreta.
Negli ultimi anni i motori, in particolare, hanno fatto passi da gigante, e a patto di non esagerare cioè la potenza specifica, come sta avvenendo ora, i turbodiesel con iniezione diretta ad accumulo di carburante (common rail e iniettore pompa) garantiscono prestazioni esuberante e bassi consumi. Ma si può fare di più con le vetture ibride, spinte cioè da gruppi motopropulsori che abbinano un motore elettrico con uno a combustione interna. Il primo per la marcia in città, il secondo quando si richiedono prestazioni più elevate come in autostrada, oppure tutte e due lavorano in tandem per offrire più spunto. Il risultato è una vettura dall’impatto ambientale minimale, concorrenziale, soprattutto se si utilizza un motore diesel con le celle a combustibile nel bilancio complessivo dal pozzo alle ruote, «from well to wheel».
La macchina ibrida non è un sogno del futuro, esiste già e si può comprare. Anche in Italia. Si chiama Toyota Prius e si basa su una tecnologia che ora Ford utilizza in licenza, contribuisce a sviluppare e ha montato su un fuoristrada Explorer in vendita negli Stati Uniti da qualche mese. Il successo di Prius e gli innegabili vantaggi della tecnica ibrida hanno spinto la connazionale Honda a introdurre la sua Insight anche in europa all’interno di un piano che coinvolge l’Italia e comporterà la vendita anche di versioni “hybrid” della popolare Jazz, mentre negli Usa è in vendita una versione ibrida della grossa berlina Accord. Anche i costruttori europei si sono accorti che l’ibrido è probabilmente un’architettura vincente e attualmente sostenibile: bassi consumi, impatto ambientale limitato e addirittura nullo durante la marcia completamente elettrica. Ed ecco che da Renault a Psa, fino a Mercedes, si moltiplicano iniziative e progetti per l’ibrido made in Europe.
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